Codice "Vita di San Vicinio"

Biblioteca Hagiographica Latina, 8557


PROLOGO

1. Racconto della vita e dei miracoli di S. Vicinio, vescovo di Sarsina, a perpetua memoria. È compito del culto della Chiesa non lasciare nascosti i miracoli che Dio fa apparire nel mondo, come purtroppo fece il servo inetto del Vangelo, che nascose il denaro del suo padrone. Anzi conviene che qualche esperto, sull'esempio degli scrittori precedenti, a sempre maggior gloria di Dio, raccolga e tramandi ai posteri le notizie utili al comune progresso spirituale e all'avanzamento religioso. Soprattutto quando si constata che quei miracoli procedono dai meriti dei Santi, i cui corpi veneriamo da tempi antichi, qua in terra, di culto legittimo.

2. Dice Davide: « Il giusto sarà sempre ricordato » (Ps. 112, 6). Ma non lo può essere, se la sua vita non viene raccontata nelle sue fasi, per filo e per segno, da qualche penna capace, perché l’uomo è così fatto che dimentica presto, completamente, moltissime cose anche le più note. Occorre, perciò, scrivere la testimonianza delle opere mirabili, che derivano dai meriti dei santi, affinché restino a perpetua memoria. Qui riferiremo, meglio che possiamo, alcune delle molte grazie, numerosissime in tutto il mondo, che sono avvenute per i meriti e le preghiere di S. Vicinio vescovo di Sarsina.

 

VITA

3. S. Vicinio, secondo la tradizione, al profilarsi di una persecuzione, partì dalla Liguria e giunse alla città di Sarsina, chiamata comunemente Bobio, situata sugli Appennini. Ivi cominciò a predicare la fede al popolo; e tanto bene faceva, piacendo a Dio e alla gente, che per divina provvidenza vi fu scelto e ordinato vescovo. Posto sulla vetta della gerarchia, aspirava ardentemente a salire anche le cime della perfezione. Da vescovo egli praticava sul monte ciò che insegnava ai suoi sudditi, posti nella valle della pagana corruzione. Si mostrava, così, maestro amabile per tutto il clero, venerato dal popolo, mite verso i poveri come un padre, generoso verso le vedove, personalmente povero, protettore degli orfani, sofferente coi sofferenti. Vegliava le notti, sempre pregava, domava la concupiscenza coi digiuni, fulgido esempio di fedeltà al celibato.

4. Non c'è bisogno di tessere elogi crescenti su di lui e sul progresso della sua carità e di altre virtu, quando è noto che non gli fece difetto nessun atto di bontà, e non si piegò a nessuna di quelle futili cose di cui il mondo va pazzo. Anzi sparse attorno la fragranza di tutte le virtù, che piacciono a Dio onnipotente. Non solo si offrì come sacrificio a Dio, ma tutto vi si consumò come olocausto, nel cuore e negli atti. Come un bravo maestro Vicinio sapeva adattare i suoi discorsi ai singoli e alle circostanze. I superbi richiamava all'umiltà, piegandone l'animo orgoglioso col fervore di una opportuna disciplina; altri, che vedeva invischiarsi, per la seduzione dell'astuto demonio, nelle lusinghe del mondo, spingeva a sottostare ai comandamenti di Dio, ammonendoli con insistenza in ogni occasione opportuna e non opportuna.

5. Dedicandosi ininterrottamente a siffatti esercizi, S. Vicinio arrivò a una efficacia tale di opere miracolose, che bastava la sola presenza fisica di lui, sempre col pensiero in Dio, ad allontanare ogni forma di malattie con una semplice preghiera, a liberare i poveri ossessi dal demonio a un semplice comando, e a ottenere da Dio ogni favore e ogni sanità, secondo i bisogni del popolo. Soprattutto eccelleva nel cacciare i demoni dagli ossessi, come avviene anche oggi. E fu così per ventisette anni e tre mesi del suo pontificato, speso nelle opere di Dio. Mai rifiutò a Dio quanto conobbe potesse piacergli. Meritò così di essere chiamato dal Signore, che tanto aveva amato; e con la morte ricevette quel riposo, che L’onnipotente Dio concede ai suoi diletti figli, ammettendoli a godere della sua eredità.

6. Lassù nella gioia di Dio S. Vicinio, godendo della eredità senza più faticare a coltivarla, ricevette il premio dei travagli sopportati, premio imperituro. Lassù egli contempla i molti manipoli che Cristo il Seminatore ha mietuto, ed è glorificato pienamente nel Signore per il guadagno che ha riportato. O beata eredità, che nessun figlio può avere in sorte con la successione, se prima non è vissuto per il Padre; e che nessun figlio può possedere, se prima non è morto per il Padre. Meravigliosa eredità che in cielo il cristiano acquista, quando in terra sa perdere la sua vita; la perde invece se vuole qui conservarla senza Dio. Tale eredità Dio la riserba a coloro che anelano di parteciparvi, morendo nella vita, per sopravvivere nella morte col Dio vivente.

7. Ma Vicinio, caro a Dio, mentre dopo la méta della vita corporea esultava con l'anima in cielo, non poté mancare anche del dono della lode terrena, tra gli uomini, dove spiritualmente si era impegnato in durissima lotta contro il nemico invisibile. Dopo le trionfali esequie con le quali fu degnamente commemorato dai sacerdoti, e dopo gli incensi fragranti della liturgia e l'onore di un funerale famoso per vigilie notturne, riposò sepolto in un sarcofago di marmo. E non solo non l'abbandonò la solita potenza miracolosa, ma da morto operò in Cristo miracoli ancor più grandi e famosi di quanti ne compì da vivo. E giustamente il Creatore di tutte le cose lo innalzò chiamandolo non alla morte, ma inserendolo in un popolo maggiore e con maggiore onore che non lo aveva innalzato da vivo. Sciolto dal corpo non subì la morte, anzi la evitò; non cessò di vivere, anzi cominciò a vivere; afferrò la vita, che cercava, proprio col prepararsi a morire; sfuggì la morte, che temeva, se fosse vissuto solo nel corpo.

8. Infatti il giusto non può vivere nell'anima se non muore nel corpo. Fu dunque bene che la sua vita fosse accompagnata da miracoli, che poi non sarebbero cessati, perché nella eternità era la sua vita. Se invece fosse stato destinato alla morte, questi miracoli, per quanto veri, non gli sarebbero stati riconosciuti quando fosse morto. Nelle storie sacre e profane si legge di uomini esperti nelle arti magiche, che hanno ottenuto, con la potenza di una riprovevole maestria, effetti fuori natura, e che da vivi hanno operato cose stupefacenti, ma da morti sono scomparsi ingloriosamente, assieme alle loro strabilianti magie. Noi crediamo che questo avvenga perché fanno quelle magie da morti nell'anima, perciò dai morti ricevono il potere che esercitano finché stanno qui in terra; ma, una volta morti anche nel corpo, perdono infelicemente quei poteri, dei quali, vivendo malamente tanto si gloriavano.

9. Chiara è dunque la ragione perché i miracoli continuano nei buoni dopo la morte del corpo. Essi si fanno dei meriti con l'innocenza della vita, che viene meno; e anticipano la vita beata, che inizia dopo la morte. Anzi i miracoli, dopo, si moltiplicano invece di finire. Pertanto, dopo la sepoltura di S. Vicinio, fiaccato ormai il nemico del genere umano, crebbe la vita cristiana fino al rigoglio. Egli aveva arato quei campi sacri col vomere della sua predicazione, e la pioggia della grazia celeste dall'alto li aveva irrorati.

10. Noi vediamo chiaro, che, quando un arboscello è piantato, se irrigato frequentemente, supera la torrida estate, e, se curato con ogni sussidio umano, estende i suoi rami carichi di frutti; e allora il solerte contadino, ormai sicuro, si riposa dalla fatica e si rallegra nel raccogliere e assaporare i frutti. Altrettanto, i frequenti miracoli di S. Vicinio cessarono di apparire per un tempo abbastanza lungo, perché la sua chiesa, sostenuta dalle sue cure pastorali, di questi miracoli aveva meno bisogno. Ma poi, diminuendo ormai il sentimento dei fedeli rispetto alla pratica della primitiva virtù, di nuovo l'onnipotente Iddio suscitò gli antichi benefici dei miracoli del Santo, che la memoria dei vecchi tramandò alle età più giovani, e che ora vogliamo accuratamente esporre.

 

MIRACOLI

11. Un colono d'Arezzo di nome Bonizone, preso dal demonio era tormentato e vessato da quel nemico irriducibile del genere umano. I suoi parenti afflitti lo portavano su e giù per tutti i santuari, un po' dovunque, pregando per lui Iddio misericordioso, ma vana era ogni fatica per portargli sollievo. Quando già egli stava per essere abbandonato dai parenti ormai sfiduciati, fu condotto ad Arezzo sul sepolcro del martire S. Donato, i cui prodigi anticamente rifulsero ad  incremento ed a splendore della Chiesa. Qui, mentre tutti confidavano che presto avrebbe riacquistato la salute per i meriti di S. Donato, come soleva avvenire, ecco la voce del demonio che   gridava per la bocca dell'indemoniato: « Perché questa inutile fatica a portarlo in giro miseramente per tanti luoghi di Martiri! A nessuno dei Martiri, a nessuno dei Confessori mi sento obbligato a cedere, se non a S. Vicinio vescovo di Sarsina, quegli che anche da vivo si oppose sempre a me ed ai miei soci ».

12. All'udir queste cose, gli amici di quell'infelice cominciarono a cercare chi era e dove stava il beato Vicinio. Saputo finalmente che è la chiesa di Sarsina, quella a cui è tutela il corpo di S. Vicinio, si affrettarono a recarsi colà. Ma il demonio, avvincendo con misteriosi legami l'infelice ossesso ed opponendosi con forza maledetta, lottava sino alla fine perché non venisse presentato nelle vicinanze di S. Vicinio. Ma poiché non valeva tanto da opporsi del tutto al comando di Dio, l'ossesso venne finalmente condotto di peso vicino al predetto episcopio. Mentre si tentava di accostarlo al sepolcro del Santo, lo spirito maligno resisteva con tanta energia che a stento poté smuoverlo una grande quantità di gente: e mandava latrati da cane, grugniti da maiale, terrorizzava gli astanti, cercando di dilaniarli con morsi e con pugni, e, gettandosi a terra, per quelli che lo trascinavano divenne pesante come il marmo.

13. Richiamati da questo fracasso i sacerdoti della predetti chiesa andarono incontro a quell'infelice, muniti di soccorso divino; e vedendolo in preda ad un accesso furioso, fan portare in nome di Dio e di S. Vicinio una catena, che da tempo era stata fabbricata per fugare i demoni, e mettendogliela attorno al collo gli comandano, in nome di Dio onnipotente e di S. Vicinio, che smetta di opporsi ad andare al sepolcro. A queste parole egli si fa come il seraro iniquo, che, pur malvolentieri, viene alla presenza del suo padrone, ed arriva al sepolcro senza difficoltà per quelli che lo trascinano.

14. I sacerdoti per liberarlo celebrarono la Messa e pregavano il Signore. Intanto quel disgraziato, caduto a terra, cominciò a vomitare spuma dalla bocca ed a sbattere la testa qua e là: poi a poco a poco si quietò e si addormentò. Dopo circa un'ora, sollevato dai sacerdoti, cominciò a gridare con gioia di esser tornato sano e a render grazie a Cristo Signore e a S. Vicinio. Visse poi in sanità ancora parecchi anni, e per molto tempo, in ossequio a S. Vicinio, portò la croce processionale in tutti quei luoghi dov'era necessario. A casa non cessava di render gloria e lode al beato Vicinio, e ogni anno, ed anche più spesso, si recava a visitarne il Corpo.

15. Ed ora raccontiamo un altro miracolo, che non è inferiore. Presso la città di Reggio che si trova nella provincia della Liguria, c'era un nobile che aveva molti terreni e che, come vuole l'umana cupidigia, cercava di moltiplicare i suoi beni. Cominciò dunque a danneggiare un suo diacono (o ministro), uomo di mediocre condizione e di semplice onestà, al punto che, dopo avergli portato via tutte le suppellettili, gli tolse anche un mulino con cui egli manteneva se stesso e i suoi. Ora quel diacono, non riuscendo con umili suppliche a mitigare l'inflessibilità del padrone, né avendo modo di costringerlo con la forza del diritto, per essere quegli irraggiungibile per la sua posizione e per la protezione dei suoi alti compari, dolendosi tristemente della sua miseria, decise di affidare le sue disgrazie al Re dei Re ed ai suoi Santi, ai quali eran ben note, e di rivolger loro dovute preghiere.

16. Fu così che trovò salvezza. Si recò alla basilica di S. Pietro principe degli Apostoli per chiedere il suo aiuto e visitò in pellegrinaggio tutti i santuari che poté. Infine, tornato da Roma, gli fu rivelato in sogno che, se avesse chiesto l'aiuto del beato Vicinio vescovo di Sarsina, che è solito a non negarlo a tutti coloro che lo pregano, sarebbe riuscito ad ottenerlo. Pertanto egli pregava di conoscere con sollecita trepidazione chi fosse questo Vicinio, ed aumentando le sue ricerche presso moltissimi, finalmente venne a saperlo. E così con ansia si mise ad attraversare foreste impraticabili e scoscese montagne, finché giunse a quei luoghi sconosciuti e desiderati.

17. Si recò in chiesa, entrò nel sacello più intimo e sacro dove riposa il corpo del Santo, si gettò in ginocchio e cominciò così a pregare: « O beato Vicinio, o amico di Dio, qui, fino a te son venuto, io, il più infelice degli uomini; qui devotamente ti prego perché mi venga incontro, ricordandoti delle tue antiche usanze. Non cessar d'aiutarmi, perché son bisognoso oltre misura. Non ti chiedo che tu mi conceda cose ingiuste, ti chiedo che mi sia restituito ciò che mi è stato ingiustamente tolto. So che tu sei ascoltato da Dio anche se chiedi grazie maggiori di questa.

Ché se tu ora non presti ascolto alle mie istanze perché non lo merito, io non uscirò di qui, io resterò al tuo cospetto a supplicarti instancabilmente, fino a che o morirò infelicemente o sperimenterò se tu hai pietà delle miserie degli afflitti ».

18. Per molti giorni non cessò così d'implorare e di aggiungere preghiere, finché il beato Vicinio, mosso dal suo solito senso di pietà, durante il sonno della notte apparve a quel nobile di Reggio e gli ordinò di restituire immediatamente al suo diacono il mulino con le altre cose nibate. Quegli chiese chi era, « Sono S. Vicinio, rispose, Vescovo della Chiesa di Sarsina, che mi sono, commosso ai lamenti continui del tuo diacono ». Ma poiché il nostro uomo trascurava quanto gli era stato detto, nella seconda notte il beato Vicinio gli ripeté le medesime cose e gli comandò più severamente. Ma siccome quello ancor resisteva agli ordini, la terza notte non solo lo colpì a parole ma anche con percosse. Allora l'uomo, sotto quell'uragano, cominciò a promettere e a giurare di fare tutto quello che comandava senza frapporre difficoltà, e gli chiese che si degnasse di mandare a lui quel diacono. Pertanto il beato Vicinio comandò al diacono, durante il sonno, di tornar tranquillo alla sua terra. E cosi quegli, ritornato, riebbe tutti i suoi beni di prima, e finché visse, insieme con quel nobile suo padrone, rese immense grazie al Santo e spesso da allora visitò la sua chiesa.

13. Se ne aggiunge un altro. Nella chiesa del predetto vescovado di Sarsina, per antico costume si conserva una catena detta di S. Vicinio. Di questa catena si servivano i sacerdoti unicamente per scacciare i demòni per i meriti di S. Vicinio, tutte le volte che fosse necessario. Ora, uno dei guitti che girano la terra mendicando, non sapendo a che cosa serviva, la rubò e  portandosela dietro si diede alla fuga, al principiar della notte. Corse rapidamente sino al fiume Savio, che è vicino alla città; ma Dio onnipotente fece in lui cio che aveva minacciato ai reprobi per bocca del profeta: « manderò in loro lo spllito della vertigine e li farò errare come i ciechi » (Is. 19, 14). Per tutta la notte si diede a girare, lungo l'una e L’altra riva del fiume, per luoghi oscuri e senza sentiero, attraverso scomodi avvallamenti; avanzava ferendosi tra spine e rocce, sperando di sfuggire agli inseguitori e di frapporre tra sé e loro gran distanza.

20. Ma quando si fece giorno l'infelice, colpito da doppia cecità, si ritrovò presso il fiume, nel medesimo luogo dov'era stato la sera innanzi. Pieno di stupore e di affanno, temeva con gran pena che gli inseguitori lo prendessero: cercava ancora di fuggire, ma invano si affaticava, impedito dai precipizi. Allora, constatando che ormai gli mancava ogni scampo di fuga, gettò la catena In mezzo a un gorgo; poi, tornato subito indietro. si reca alla chiesa. Quivi rimase tre giorni a mendicare, mostrando un aspetto innocente. Frattanto un ossesso venne portato presso la tomba del beato Vicinio. Subito i sacerdoti si preoccuparono di trovar la catena per legare il collo dell'indemoniato, com'era uso, e, sospettato di quell'uomo agitato dal terrore, lo presero é lo costrinsero a confessare il delitto.

21. Egli disse: « Ho agito come un ladro e, quel che stimo peggio e irrimediabile, ho gettato la catena in fondo a un gor

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 24. Nello stesso tempo un nobile diacono della Chiesa di Ravenna, di nome Onesto, mentre si recava a Roma in pellegrinaggio, prese ospizio in un luogo vicino al predetto episcopio di Sarsina. Ma il suo cavallo era diventato talmente zoppo a un piede, che non poteva far più un passo avanti, benché incitato da colpi di frusta; per questo egli e i suoi accompagnatori, impediti di continuare il viaggio, caddero in grande tristezza, e si misero a cercare un rimedio per il cavallo ma invano. Allora il diacono con devoto affetto chiese aiuto al beato Vicinio e gli disse: « O san Vicinio, abbi pietà di me, che sono rimasto bloccato nella tua patria e vieni in mio soccorso: restituisci la sanità al mio cavallo.

25. Se mi farai questa grazia, faccio voto di offrirti ogni anno, finché vivremo io e il mio cavallo stesso, una candela alta come il mio corpo ». Aveva appena terminato questo discorso, quando il cavallo cominciò a trottare così regolarmente che, precedendo gli altri, sembrava non avere mai avuto traccia di azzoppicamento. I1 diacono poté cosi condurre a termine il suo viaggio e tornare alacremente a casa, e per due anni sciolse il voto che aveva fatto a S. Vicinio. II terzo anno, in quel giorno in cui non mantenne il voto, morì il cavallo tra le mani di chi lo teneva a briglia. E così fu chiaro che quell'uomo aveva ottenuto ciò che aveva chiesto calorosamente con un voto al beato Vicinio, e poi aveva perduto ciò che aveva ottenuto col voto, per non averlo mantenuto.

26. I1 vescovo della predetta città di Sarsina, di nome Benno, mosso da lettere accusatorie di spie, fece prendere un prete della sua Chiesa di nome Pértaro, poiché accuse calunniose gli contestavano un delitto, di cui era innocente. Per venti giorni questo prete, macerato da veglie e digiuni, si lamentava, perché legato con la catena di S. Vicinio si sentiva soffocato come da un laccio, che non gli permetteva movimenti di sorta. Un giorno chiese ai custodi che gli fosse permesso di entrare

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 29. Ancora un fatto. Un campagnolo dei luoghi, nativo di Arezzo, precipitò dall'alta cima di una torre, di cui per conto del suo signore era diligente custode. Nella caduta ebbe le braccia fratturate, le gambe spezzate e divaricate, e soltanto un poco di respiro gli rimaneva in corpo. Trascorsi cosi alcuni giorni la misericordia divina gli risparmiò la vita, ma non gli concesse la mobilità delle membra di prima. La curva delle reni era rimasta contorta, la giuntura delle gambe e delle coscie nodosa e la debolezza delle braccia e delle mani tale, che non poteva spostarsi se non a carponi, come un quadrupede, senza forza. Rimase per sette anni in questa triste condizione, e già desiderava piuttosto la morte che la vita; vivacchiava ospite dei canonici della predetta Chiesa, con l'aiuto dei quali prolungava una vita infelice..

30. Intanto balenò nella sua mente smarrita una speranza di guarigione, cui si appigliano sempre gli infelici per avere un certo sollievo all'anima: se fosse ricorso all'aiuto di S. Vicinio, forse avrebbe potuto ottenere dalla misericordia di Dio la guarigione. Con questa idea, a ginocchioni e aiutandosi con le mani si avvicinò al sepolcro del beato Vicinio; e con le lacrime, con lamenti e con grandi sospiri chiese la grazia. Accortosi che non era giunto: ancora il momento della guarigione aspettava pazientissimamente; insisteva però, ricordandosi del detto del Vangelo con cui Nostro Signore Gesù Cristo concluse l'esempio dell'amico che dormiva di notte assieme alla famiglia, e che, per togliersi la seccatura, finì col dare il pane all'amico che glielo chiedeva. Tutti i giorni e tutte le notti abbracciava il sepolcro marmoreo di S. Vicinio, e, battendosi il petto coi deboli pugni, pregava, chiedeva, bussava alla porta della pietà divina perché gli fosse dato il dono di guarire secondo che è detto nel Vangelo. Alla fine Dio Onnipotente, per le preghiere di S. Vicinio, si piegò clemente e pietoso come sempre; e l'infelice, un giorno in cui, tra miseri lamenti e frequenti gemiti tentava di abbracciare con le due mani l'arca, si alzò come fosse sanissimo fino al limite superiore del marmo. Comprese subito che le membra di tutto il corpo si erano marmorizzate in ogni parte, e che aveva ritrovato la sua normale statura. Cominciò a tentare, se poteva camminare speditamente. Fatti alcuni passi, si rassicurò della guarigione che così lungamente aveva desiderato; e innalzò lode, allora e poi sempre, alla clemenza di Dio Onnipotente e ai meriti di S. Vicinio. Molti amici e conoscenti, vedendolo sano e di nuovo in possesso della sua alta statura, presi da gran meraviglia, narrarono con ammirazione la potenza del Signore.

31. Ma perché meravigliarsi se nacquero prodigi dalla presenza di tutto il corpo del beato Vicinio, quando sappiamo che anche da un frammento delle sue ossa risplendette qualcosa di grande ascoltate questo fatto. I1 vescovo Uberto, della sopraddetta Chiesa di Sarsina, decise di partire per un pellegrinaggio di preghiera verso l'oratorio di S. Michele Arcangelo, che si trova nel monte Gargano, santuario celebre e venerato nel mondo fin dalla antichità. Però, per essere protetto durante il viaggio da ogni avversità, prese un frammento d'ossa del beato Vicinio, lo chiuse in decorosa teca, lo collocò nella sua borsa, e lo portava con sé. Durante il viaggio, per grazia di Dio, tutto andò bene; e un giorno fu ospitato in un luogo chiamato ... La sera, dopo che lui e il suo seguito ebbero compiute le faccende, la donna che gli aveva dato ospitalità,  gli offri  il  suo  letto per dormire.  I1  vescovo  molto  stanco, buttatosi a letto, nascose la borsa con la reliquia del santo sotto il cuscino da testa.

32. Ma di notte, mentre dormiva profondamente, gli apparre S. Vicinio che gli disse:  «Ti sei comportato da uomo poco saggio, o vescovo, a mettermi nel letto di una donna». Detto questo scomparve. La mattina il vescovo, svegliato dal trambusto del ciarlare dei suoi compagni di viaggio, quando aveva ancora li  occhi  chiusi  nel  sonno,  del  tutto  dimentico  della  notturna visione, alla svelta partì col seguito e viaggiò fino all'ora terza, abbandonata la reliquia protettrice. Frattanto l'alberghiera, alzata si che era ancora notte, entrò nel letto dove il vescovo aveva dormito, nulla sapendo di quel tesoro abbandonato e credendolo vuoto. Ma subito le prese un dolore viscerale tanto grande, che sembrava torturata dalle doglie insopportabili di una partoriente.

33. Tentò infine tra i dolori con debole sforzo di alzarsi da letto, e di uscirne per vedere se girando un po' si attenuassero. Immediatamente (incredibile a dirsi) uscita che fu dal letto le ritornò il benessere di prima. Dopo lei, un familiare della casa rientrato stanco da un viaggio notturno, accasciato dal sonno si gettò sullo stesso letto. Subito lo prese lo stesso dolore ai visceri e cominciò a gridare. La donna spaventata a quelle grida e pensando agli improvvisi dolori suoi e di quell'infelice, sospettò che tutto derivasse dalla potenza dei meriti del vescovo, che in quel letto aveva dormito, ed esortò quell'uomo ad uscirne subitamente.

34. Appena quel tale ebbe abbandonato il letto, tornò sanissimo anche lui. Pieni di ammirazione e di stupore, ambedue si allontanarono dal letto, e non osarono più toccarlo e neanche provare cosa ci fosse. Intanto il vescovo si accorse di aver abbandonato la teca all'ospizio e tutto addolorato comandò a uno del suo seguito di tornare indietro a prenderla. Questi rifece la strada percorsa, raggiunse la casa che li aveva ospitati, e qui ritrovò la borsa intatta, e seppe dagli stessi protagonisti· la storia dei loro dolori. Il vescovo, quando venne a saperlo a sua volta, preso dalla paura, cominciò a custodire le reliquie di S. Vicinio con maggior zelo e rispetto.

 

EPILOGO

35. Non è nostro compito qui narrare attraverso i singoli miracoli quanta sia stata la forza dell'intercessione di S. Vicinio presso Dio nel cacciare i demoni e procurar grazie. Da una infinità di testimoni si può conoscere che, alla presenza del suo sepolcro, tutti gli ossessi sono stati liberati e tutti i dolori fugati. Nessuno, qual si fosse il malanno che lo affliggeva, che abbia invocato il suo aiuto, si è allontanato da lui senza esserne stato esaudito. S. Vicinio concede guarigioni del corpo a coloro che ne hanno bisogno, e, ciò che vale di più, concede agli oranti il vigore dello spirito, con cui gli animi, accesi dalla fiamma del divino amore, si piegano a compiere in tutto la volontà di Dio, e cosi meritano di essere ammessi entro le mura della celeste Gerusalemme. Tutto ciò che da vivo predicava ai fedeli, S. Vicinio, defunto e vivente nel cielo, continua a dispensare a coloro che pregano e confidano nelle sue orazioni.

36. Queste grazie si sono infinitamente moltiplicate e sorpassano ogni numero; perciò sia sufficiente che noi abbiamo attinto da quel vastissimo mare poche gocce per la sete dei fedeli. Noi infatti abbiamo riferito queste notizie sulla sua vita e miracoli in modo da non sembrare né troppo corti,  restringendoci a un sunto compendioso, né troppo prolissi col rischio di diventar noiosi.

Sia dunque a Iddio eterno e onnipotente, che glorifica così il beato vescovo Vicinio, l'onore di una lode senza confronti, omaggio interminabile, e gloria immortale di ogni potenza, da parte di tutte le creature, per tutti i secoli dei secoli. Amen





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