IL MUSEO D'ARTE SACRA


Ubicato al primo piano del Palazzo che fu la residenza dei Vescovi di Sarsina fino al 1976 (attualmente, dopo la creazione della Diocesi di Cesena – Sarsina, il Vescovo risiede a Cesena), il Museo si sviluppa lungo quattro ambienti “tematici” che raccolgono una rilevante collezione di paramenti sacri, oggetti liturgici e dipinti, per lo più provenienti dai territori facenti parte dell’area di competenza dell’ex diocesi di Sarsina, salvati dal degrado, da atti vandalici e furti, spesso qui ricoverati per la rovina di quelle chiese e di quegli oratori non più officiati di cui costituivano l’arredo; ne è esempio la splendida raccolta di antiche campane fuse in bronzo che però non ha ancora trovato una propria adeguata collocazione all’interno della struttura.

Nelle prime due ampie sale sono collocate due grandi teche in cui è conservato ed esposto un patrimonio tessile, che pur ritenuto di appartenenza ad un’arte definita minore, è di rilevanza notevole: pianete, piviali, mitre (nelle tre tipologie: semplice, aurifregiata, preziosa) per lo più appartenute ai vescovi sarsinati, i cui nomi sono stati rintracciati nell’archivio vescovile grazie agli stemmi ricamati sui preziosi parati (in particolare quelli di  Mons. Giovan Battista Mami, di Mons. Nicola Casali, di Mons. Pietro Balducci).

Tra questi indumenti sacri, che si situano in un arco temporale che va dalla metà del sec. XVIII alla metà del sec. XIX, il manufatto più antico e pregiato è la mitra aurifregiata del vescovo Giovanni Bernardino Vendemini (1733-1749), intessuta con tralci vegetali in filato d’oro.Dalla prima sala si accede ad un piccolo ambiente, la cappella, che oggi è stata allestita come pinacoteca.

Qui sono custoditi piccoli capolavori pittorici tra cui si evidenziano la teletta proveniente dalla Chiesa di Montesorbo di Mercato Saraceno raffigurante la “Madonna con Bambino”, attribuita a Bartolomeo di Maestro Gentile da Urbino, o comunque ad un artista che, per la particolarità dello stile, sembra aver guardato ad un modello per tarsia, e le due tavolette, sicuramente prodotto d’ambito bolognese di fine XVI secolo, in cui sono effigiati i Santi Pietro e Petronio, quest’ultimo un tempo identificato erroneamente con S. Vicinio, come testimonia la dicitura apposta sotto la figura che sorregge un modellino di città indubbiamente riconoscibile come il capoluogo emiliano.

Il percorso espositivo si conclude nell’ultima saletta dove due teche che occupano quasi interamente l’ambiente espongono argenterie sacre ed oggetti usciti dall’uso liturgico con la riforma introdotta dal Concilio Vaticano II; manufatti artistici che, causa le spoliazioni napoleoniche, appartengono ormai già alla metà del sec. XVIII, inizio XIX, ma egualmente testimoni di un brano di storia sacra.

Per visitare il Museo rivolgersi al personale in servizio presso la Basilica.

L'ingresso è gratuito



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